Oggi mi è stato fatto notare, in maniera fastidiosamente (e inutilmente aggiungerei) aggressiva, che l’uomo non dovrebbe camminare in mezzo alla natura. Che l’unico modo di preservarla è lasciarla lì dov’è e che solo passando in mezzo ad un prato, andiamo ad alterarne l’equilibrio. Ha un senso?
Certo.
In linea generale.
Peccato che, se contestualizziamo, il luogo in cui tale “accusa” mi è stata mossa, è un’area suburbana in cui insistono strade, sebbene poco frequentate, abitazioni e pascoli. Quindi, fuori luogo.
Ecco perché mi andava di fare alcune considerazioni sparse, forse più uno sfogo, anche per chiarire alcuni punti che potrebbero sembrare fumosi a chi non ha mai fatto escursionismo naturalistico.
È giusto che l’uomo abbia libero accesso ad ogni angolo del territorio, sebbene a piedi e in lentezza? Ovviamente no e i motivi sono svariati. Ci sono zone in cui vivono delle specie floristiche con equilibri molto delicati, habitat in cui nidificano uccelli a rischio e che non andrebbero disturbati e altri esempi di questo genere. Quindi, sono io a favore dell’”umanizzazione” incontrollata dell’ambiente naturale?
Direi proprio di no.
Sono a favore dell’estremizzazione opposta e cioè che l’uomo dovrebbe starsene solo nei luoghi che ha ormai urbanizzato ed evitare di entrare in contatto con la natura per non alterarla?
Altrettanto fermamente no.
Il “turismo della passeggiata”, come è stato definito l’escursionismo in maniera dispregiativa, ha dalla sua parte non solo dei vantaggi per chi lo pratica, ma anche per i luoghi che attraversa. Se lo si fa con rispetto e cognizione di causa.
L’escursionista, quello vero, non solo rispetta i posti che attraversa, ma li valorizza persino. Quanti borghi hanno ripreso a vivere grazie ad una rinnovata conoscenza del territorio? Quante famiglie hanno potuto continuare a lavorare nella propria terra, senza doverla lasciare, grazie al turismo naturalistico?
L’escursionista è una sentinella. È pur vero che, purtroppo, alcuni luoghi abbandonati, ma accessibili più o meno facilmente, diventano meta di gente gretta e ignorante che ne fa una discarica. Se questi posti fossero frequentati abitualmente dagli escursionisti, l’elemento di cui sopra non avrebbe più modo di andare a disfarsi del suo surplus indisturbato, ma dovrebbe risolvere diversamente.
L’escursionista è attento all’ambiente. Benché non ci sia una categoria tipo che frequenta la montagna, il cardiochirurgo, l’operaio, il notaio, il commesso, l’impiegato, l’agronomo…hanno tutti almeno una cosa in comune: la sensibilità nei confronti di quello che li circonda. Con tutte queste competenze che attraversano il territorio, lo osservano, lo amano, quanto è più facile trovare una criticità o un punto di forza e valorizzarlo? Se nessuno camminasse mai per i boschi, come potremmo sapere cosa dobbiamo salvaguardare o se, persino, c’è qualcosa da tutelare?
E lascio per ultime le motivazioni più egoistiche. La natura ci fa bene. Stare in natura ha un effetto positivo sull’uomo. Noi siamo natura. Se non la conosciamo, se non la viviamo, continueremo a trattarla come abbiamo fatto finora. È cruciale, al contrario, che ci immergiamo per quanto possibile. La nostra impronta in un prato di trifogli avrà un impatto minimo sul prato stesso, ma potrebbe innescare una serie di comportamenti virtuosi per tutto quello che ci sta attorno.
Quindi, non trinceriamoci dietro posizioni ultraortodosse, in medio stat virtus. O così dicono.
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